venerdì 23 novembre 2012

Robert Doisneau e la sindrome di Stendhal.


Doisneau, se non lo conosci, se hai visto a stento qualche scatto su internet, è qualcosa che non ti aspetti.
Ti aspetti delle foto, ok, ma non sei preparato all'esplosione emotiva che ti cattura in una bolla temporale.
Ecco, il bello di Doisneau è che ti porta a passeggiare con lui, per le strade di Parigi.
Una Parigi prepotentemente viva che viene fuori dai muri, dai mestieri, dalle strade bagnate, da dei tuffatori da un ponte, da dei bambini monelli.
Ha preso volti, mestieri, gargoille e li ha immortalati, li ha seguiti per giorni, in giro per la città cogliendone un'espressione, un sorriso, un gesto delle mani.


Ha mostrato quella Parigi che nei miei sogni ho visto mille volte.
Quella dei bistrot, delle cloche e dei vestiti frangiati.
Quella degli anni '30 e dei bicchieri d'assenzio.


Poi le donne, le persone, e la vita.
In qualsiasi sua forma e manifestazione.



Un bianco e nero che ti avvolge nel fumo, nei riflessi sulla Senna, nel metallico bagliore della Tour Eiffel. Che ti avvolge in un abbraccio perfetto, in cui c'è tutto: la giovinezza, l'amore, la lussuria, la vecchiaia, l'indolenza, l'innocenza, perchè è tutto collegato.
Perchè è tutto vita, anche la morte.
E poi c'è la bellezza. La bellezza che, secondo Dostoevskij, salverà il mondo.


"La bellezza, per commuovere, deve essere effimera"
(R. Doisneau)

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